Onorevoli Colleghi! - Da molti anni, ormai, e cioè dai primi anni settanta del secolo scorso, si evidenzia nel nostro Paese la «professione dell'ottico-optometrista», che è una «libera» professione (di formazione scientifica) da tempo riconosciuta in molti Paesi occidentali (in alcuni Paesi anglosassoni - USA e Canada - da oltre un secolo, da oltre cinquant'anni in Gran Bretagna, ed, infine, anche nell'Europa continentale da decenni), la quale si occupa dei problemi della visione dell'uomo, privilegiando gli aspetti squisitamente tecnico-ottici, pur prevedendosi nel curriculum formativo degli addetti anche conoscenze di ordine fisio-biologico.
      Il nostro ordinamento prevede esclusivamente la figura professionale dell'ottico, quale disciplinata nel regolamento di cui al regio decreto 31 maggio 1928, n. 1334, concepito strutturalmente come «regolamento» del testo unico delle leggi sanitarie, di cui al regio decreto n. 1265 del 1934 (ancorché emanato «prima» del testo unico medesimo), nel quale la figura dell'ottico (alla quale erano riconosciute sia pur ridotte prerogative di autonomia rispetto alla figura del medico) era prevista come quella di un «esercente l'arte ausiliaria della professione sanitaria» (appunto del medico). Tale figura, il cui ambito professionale era ridotto nella dizione normativa dell'articolo 12 del citato regolamento di cui al regio decreto n. 1334 del 1928, è andata via via nel tempo assumendo contorni meno definiti e un più ampio contenuto professionale, attraverso un processo sociologico complesso (del resto in sintonia con quanto è stato verificato dal CNEL, in alcuni studi - si cita, in particolare, la ricerca di Rosi e Camusi, Le associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate. Primo rapporto di monitoraggio, in Documenti CNEL, 50, Roma, 1994 -, per molte professioni, anche del settore sanitario, definite appunto «non riconosciute» o «emergenti»), che ha portato, soprattutto nel

 

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settore sanitario, a identificare alcuni ambiti professionali come degni di assurgere a una sufficiente autonomia professionale, del tutto «diversa» da quella attinente l'esercizio della medicina: in particolare, si allude alle figure del fisioterapista, dell'audioprotesista, del podologo, del tecnico ortopedico, e a molte altre ancora, il cui riconoscimento professionale è avvenuto nella forma istituzionale del decreto ministeriale (allora Ministero della sanità), come espressione della responsabilità regolamentare del Governo ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e sulla base della delega legislativa prevista dall'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall'articolo 7 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, e dell'articolo 1 della legge 26 febbraio 1999, n. 42.
      Alla figura dell'ottico, considerata dalla legislazione come quella di un esercente un'arte ausiliaria della professione sanitaria del medico, si è dunque passati nel tempo ad attribuire «di fatto» (ma non senza un corrispondente procedimento di crescita meritocratica della preparazione tecnico-culturale, delle attribuzioni, delle funzioni e delle soluzioni approntate dagli esercenti l'arte sanitaria dell'ottico) la qualificazione, nei soggetti interessati, di ottico-optometrista, intesa questa come espressione riassuntiva di un servizio globale alla visione dell'utente, con esclusione assoluta delle problematiche interessanti il settore della patologia dell'organo e della funzione. In ciò può essere di sostegno la pressoché costante interpretazione giurisprudenziale, dei giudici di legittimità e di quelli di merito, i quali, occupandosi anche con una certa frequenza delle problematiche attinenti all'attività professionale dell'ottico-optometrista (o, anche, dell'optometrista tout court), soprattutto in ordine a problematiche di esercizio abusivo della professione medica, hanno espresso con sistematica determinazione il concetto che l'esercizio dell'optometria è cosa ben diversa dall'esercizio della medicina, anche per la considerazione che miopia e astigmatismo, presbiopia e ipermetropia non costituiscono «malattie» dell'occhio, ma difetti della vista, e che la correzione degli stessi con occhiali o lenti a contatto non costituisce esercizio professionale proprio del medico (oftalmologo).
      La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha apportato modifiche ad alcuni articoli della nostra Costituzione (per quel che riguarda la materia in oggetto è soprattutto interessante la modifica dell'articolo 117), ha influito in modo rilevante sulla materia oggetto della presente proposta di legge. Infatti, nel ridisegnare l'ambito delle competenze legislative fra Stato e regioni, il nuovo testo dell'articolo 117 prevede, al terzo comma, che «Sono materie di legislazione concorrente quelle relative», tra le altre, alle «professioni». E ancora, sempre al terzo comma, precisa che «Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».
      La necessità di un intervento legislativo in tema assume rilevanza soprattutto ove si consideri che più volte, e con uniforme valutazione, la magistratura italiana e soprattutto i giudici di legittimità hanno espresso la necessità che il legislatore intervenga con urgenza a prevedere e a regolare una professione importante, utile ed esercitata in via di fatto come quella dell'optometrista.
      Già da tempo e sulla base del riformato testo dell'articolo 117 della Costituzione, alcune regioni (fra queste Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Veneto, Piemonte, Toscana e Puglia) avevano dato vita a istituti di istruzione professionale in optometria, i quali invero si qualificavano (e ancora si qualificano) per la qualità dell'insegnamento prodotto, secondo un ottimale rapporto docenti-studenti e l'approfondimento - a livello universitario - delle materie specialistiche ivi insegnate.
      Né va dimenticato che, presso l'università statale di Milano II «Bicocca», è da qualche anno operante un corso di laurea in scienze optometriche, nell'ambito della facoltà di scienze matematiche, fisiche e
 

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naturali, il quale prende spunto e origine da uno degli istituti regionali citati, e precisamente dall'Istituto superiore di scienze optometriche «Giuseppe Ricco», della regione Lombardia, e che sono stimati in circa 28 mila i professionisti che potrebbero occupare lo spazio professionale riservato all'ottico-optometrista.
      E, infine, appare doveroso l'adeguamento della legislazione italiana in materia alla realtà dell'Unione europea, ove da tempo la professione dell'ottico-optometrista (sotto diverse denominazioni dovute alle particolarità linguistiche, come ophtalmic optician, ovvero optometrist nel Regno Unito; Augenoptiker in Germania; optico-optometrista in Spagna, e così via) è presente e strutturata.
      La proposta di legge, qui presentata alla Vostra attenzione, mira a colmare la segnalata lacuna dell'ordinamento. Essa tiene conto dei dati acquisiti in precedenza, sia attraverso i progetti di legge sul riconoscimento della professione di ottoco-optometrista presentati - dai diversi gruppi parlamentari - nelle precedenti legislature (è almeno, infatti, dalla metà degli anni settanta che sono stati presentati progetti di legge miranti al riconoscimento giuridico della figura professionale dell'ottico optometrista), sia attraverso gli schemi normativi (sub specie del citato regolamento di cui al regio decreto n. 1334 del 1928) predisposti dall'allora Ministero della sanità e dall'attuale Ministro della salute, sia tenendo conto delle qualificazioni che la costante giurisprudenza ha dato in ordine al contenuto operativo dell'ambito professionale individuato, sia, infine, attraverso la consultazione dei responsabili del citato corso di laurea dell'università statale di Milano II «Bicocca». In particolare, si ricorda che nella XIV legislatura il Ministero della salute aveva predisposto un nuovo testo in materia, che era stato inviato al Consiglio di Stato per il parere.
      Il Consiglio di Stato nell'adunanza del 22 aprile 2002, n. 1195/2002, aveva respinto il predetto testo ritenendo che «l'entrata in vigore del nuovo titolo V della Costituzione ha fatto venir meno il potere regolamentare statale nella materia delle professioni (...) iscritta tra le materie di legislazione concorrente, rispetto alle quali lo Stato può esprimersi solo in via legislativa mediante la determinazione di princìpi fondamentali e che «(...) nel nuovo sistema di legislazione concorrente spetta, invero, allo Stato solo il potere di determinare i tratti delle discipline che richiedono, per gli interessi visibili da realizzare, un assetto unitario (i cosiddetti princìpi fondamentali); va riconosciuto invece alla legge regionale (legittimata nel nuovo sistema, ad avvalersi, per i tratti della disciplina di sua spettanza, anche di regolamenti regionali di attuazione) il compito di dare vita a discipline diversificate che si innestino nel tronco dell'assetto unitario espresso a livello di princìpi fondamentali (...). Il potere statale di intervento, in relazione alle professioni sanitarie va pertanto esercitato non più con regolamento, ma in via legislativa con princìpi fondamentali, tale essendo il livello prescritto dall'articolo 117 della Costituzione».
      Dopo tale pronuncia, l'esame del testo di legge era continuato, ma non si è giunti, purtroppo, alla sua definitiva approvazione.
      La proposta di legge si adegua, pertanto, alle norme costituzionali relative alla ripartizione della competenza legislativa fra lo Stato e le regioni (e le province autonome di Trento e di Bolzano), disponendo quindi in via generale per quel che concerne l'individuazione della figura libero professionale, il contenuto operativo e le sue specificazioni (articolo 1), non senza prevedere il divieto di intervenire nella diagnosi e cura di malattie (articolo 2); il testo si occupa del controllo istituzionale sulla professione, operato attraverso l'istituzione dell'albo professionale e con l'indicazione dei requisiti di accesso alla professione (articoli 2, 3 e 4).
      Infine, apposite disposizioni riguardano il coordinamento con le competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano (articolo 5) e il raccordo con la legislazione vigente (articolo 6).
 

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